ARTETERAPIA – L’Arte in Terapia

Arteterapia – L’Arte in Terapia

Dott. Francesca Filippini, Psicologa

 

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 “L’arte non riproduce ciò che è visibile,

ma rende visibile ciò che non sempre lo è”

Paul Klee

 

Dire arteterapia implica aprire un vasto scenario che comprende un’ampia gamma di concetti, tecniche e approcci. Innanzitutto vengono tirati in gioco i concetti di arte e di terapia.

Il che cosa può essere considerato arte è un argomento assai discusso. C’è chi considera arte solo ciò che implica perfezione in termine di tecniche pittoriche o scultoree; c’è invece chi intende per arte tutto ciò che è esteticamente apprezzabile; e c’è chi considera arte tutto ciò che è espressione personale concretizzata attraverso l’azione del dipingere, dello scolpire, del fare musica o altro.

Io credo che l’arte sia tutto questo messo assieme. Ma nel momento in cui l’arte si incontra con il fine terapeutico la definizione più calzante è quella relativa all’espressione di sé. Quando in terapia si propone il mediatore artistico, spesso il paziente, posto di fronte al foglio o alla tela, mette le mani avanti giustificandosi “Non sono mai stato bravo a disegnare!”. Quello che ogni volta sottolineo è che nel contesto terapeutico non ci si aspetta una prestazione artistica in termini di qualità e tecnica, ma che il paziente semplicemente racconti qualcosa di sé.

E che cos’è invece la terapia? La definizione che più si avvicina al concetto di terapia che qui intendiamo, l’ho trovata su Wikipedia:

“La terapia (…) è un concetto generale e applicabile a qualsiasi attività volta ad alleviare, ridurre o estinguere uno stato di disagio. Es. “quell’abbraccio è stato terapeutico”, “la migliore terapia è stata l’esperienza”, ecc. (…) Ciò che distingue la terapia come concetto dalla terapia come attività sanitaria è l’uso degli strumenti utilizzati, strumenti che la legge può riservare a specifiche categorie professionali.”

In termini generici, nel corso della storia viene considerata terapeutica ogni relazione tra due o più individui in cui uno possiede conoscenze che possono aiutare l’altro o gli altri in termini di salute generale. La Salute individuale possiede diverse componenti alle quali, in ogni sistema culturale, viene dato peso e rilevanza maggiori. I terapeuti sono quindi chiamati alla cura del corpo della psiche e dell’anima.

Nel corso della storia l’incontro tra l’arte e i processi di cura è antichissimo e avvenne già negli antichi rituali sciamanici, ma anche nelle culture greca ed egizia. Ma la sua applicazione nelle culture occidentali è segnata dal contributo di Margaret Naumburg che nei primi del ‘900 applicò il modello psicoanalitico all’espressione pittorica. In quel periodo anche la pittrice e terapeuta austriaca Edith Kramer, mise in luce il valore aggiunto dell’espressione artistica nel processo terapeutico.

“La stretta affinità dell’arte con il processo primario, la forza dell’arte di creare organizzazioni o strutture senza imporre la “quotidianità” della vita sulle fantastiche complessità del mondo interno dell’uomo, rende possibile la ricerca del nascosto, dell’informe, del represso, del bizzarro senza abbandonare la spinta verso la forma. In arte, infatti la forma è la veste della  verità interna”

                                                                                                                     Kramer

Uno scenario in cui le arti hanno avuto un ruolo importante di emancipazione è quello dei manicomi, nei quali vennero introdotte già dalla fine dell’800. In quei luoghi alienanti, l’espressione di sé e della propria individualità era spesso negata. Attraverso la creazione artistica (inizialmente soprattutto musicoterapia limitata all’ascolto) i pazienti potevano in qualche modo comunicare al mondo la propria esistenza. Quando questo non era possibile o non era istituzionalmente preso in considerazione, troviamo esempi di chi si è preso quello spazio di espressione negato.

Uno di questi fu Oreste Fernando Nannetti, in arte N.O.F.4, internato nel dopoguerra all’ospedale psichiatrico di Volterra, il quale lasciò un’eredità di murales, incisioni fatte con la fibbia della propria giacca, con cui aveva riempito tutti i muri e recinzioni del manicomio.

Solo in seguito, in un’ottica in cui si cominciava a reintegrare il diritto di esistere ai pazienti manicomiali, lo psichiatra Franco Basaglia e la sua equipe decisero, negli anni ’60-’70, di introdurre ufficialmente il diritto ad esprimersi attraverso le arti. Diedero loro fogli colori ed altri materiali. Li fecero disegnare, costruire, ballare e cantare. E quello che inizialmente poteva sembrare un semplice passatempo, si rivelò avere una valenza ben diversa: un valore terapeutico dovuto alla possibilità di raccontarsi. L’arte come sinonimo di libertà. Basaglia scrisse diversi articoli e libri in cui valorizza il contributo dell’espressione artistica all’interno degli ospedali psichiatrici. Infatti la patologia psichiatrica, l’internalizzazione di anni e la solitudine esistenziale, spesso rendono incomunicabile verbalmente il proprio vissuto. Ed ecco che l’arte diventa un mediatore per esprimere quel qualcosa di sé che non trova parole.

E tutti noi facciamo esperienza di questo, il nostro vissuto non è sempre comunicabile, non è sempre codificabile in parole. Quante volte proviamo a spiegare un’emozione una sensazione, e quante volte rimaniamo con il deludente sospetto di non essere riusciti a far capire  fino in fondo all’altro cosa stiamo passando. Il mondo delle emozioni è un mondo basato sull’esperienza sensoriale. Il mondo delle parole è codificato in termini cognitivi. Nel tradurre da un piano all’altro qualcosa va sempre perduto. È per questo che l’espressione artistica riesce a veicolare più fedelmente il proprio vissuto, perché anch’essa si basa sull’esperienza sensoriale.

Lo scenario terapeutico che ben si presta ad integrare tecniche espressive artistiche, è la terapia della GESTALT. Essa si basa su un approccio che consente “un’esperienza globale in cui il corpo possa parlare e la parola incarnarsi” (Anna Rosier). Nell’esperienza la parola è solo uno dei mezzi di comunicazione di sé, ma è anche quel mezzo con cui più spesso ci schermiamo, ci evitiamo, ci difendiamo. Per questo motivo abbandonare di tanto in tanto questa via privilegiata dalla nostra società, per lasciare spazio ad altre modalità di comunicazione (il gesto, il suono, il corpo, l’arte…), ci consente di entrare più in contatto con la nostra autenticità e comunicare in maniera più efficace.

Durante un percorso terapeutico può essere utile inserire l’espressione artistica per diversi motivi. Innanzitutto l’atto pittorico può essere un’esperienza intensa e di profondo contatto con se stessi. Paul Klee affermava: “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Ed è questa la funzione principe che l’arte svolge nel contesto terapeutico. Nel dipingere il paziente produce qualcosa di cui è più o meno consapevole. Ma se l’atto di dipingere è intenzionale, i contenuti e i significati che esso veicola spesso non sono del tutto coscienti.

Ogni produzione comprende elementi leggibili e riconoscibili all’occhio del paziente stesso, ma spesso ci si trova di fronte anche a qualcosa di nuovo ed inaspettato oppure qualche elemento viene visto sotto una nuova luce.

Alcuni approcci psicoterapeutici, come ad esempio quello psicoanalitico o psicodinamico, rintracciano nelle produzioni artistiche dei pazienti schemi di significati simbolici universalmente interpretabili.

L’approccio della Gestalt invece lascia al paziente la responsabilità di scoprire che cosa quel quadro racconta di lui. Il terapeuta non interpreta arbitrariamente i segni e non attribuisce significati simbolici preconfezionati. È il paziente stesso, rimanendo all’interno del processo creativo ed espressivo, a cogliere il senso di quanto ha fatto. Solo attraverso questa ricerca attiva potrà scoprire qualcosa di sé di profondo ed autentico, rendendosi artefice del proprio processo di conoscenza e di cambiamento. Non è nell’interpretazione che il terapeuta può affibbiare di volta in volta al paziente che egli cambierà. Ma nell’atto di assunzione di responsabilità del muoversi all’interno del proprio spazio esperienziale alla ricerca dei propri sensi e dei propri significati. E il terapeuta è la guida in questo viaggio.

Solo questo movimento intenzionato può portare a un cambiamento esistenziale significativo.

Ed è per questo che spesso in terapia introduco l’utilizzo del mediatore artistico. Ritengo che sia una grande opportunità esplorativa, laddove il pensiero logico e la parola non arrivano. Costituisce un terreno di lavoro e di relazione paziente-terapeuta diverso in cui, oltrepassando il limite dell’astrazione verbale, si giunge ad una prospettiva altra del proprio mondo interno, con un risultato tangibile, osservabile e, in quanto tale, modificabile.

 

BIOGRAFIA

–  Naumburg, M. (1966), Dynamically Oriented Art Therapy: Its Principles and Practice. Grune and Stratton, New York and London

–  Kramer, E. (1971), L’arte come terapia nell’infanzia. La Nuova Italia, Firenze

– Ginger, S. e A. (2015), La Gestalt. Terapia del Contatto Emotivo. Edizioni Mediterranee.